Frequencies

Privata

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    Rhona Nadira Khan | 25 anni | Stregone | scheda livello

    Flash.
    Il cielo era gravido di nubi, niente che somigliasse all'azzurro limpido lasciato nel Camerun ormai più di ventuno ore prima. Il caldo afoso di un'estate non abbastanza tropicale le scivolava addosso rubandole il respiro, le agitava i capelli in qualche folata dispettosa, si addensava nella gola riarsa adesso che il rullo dei bagagli aveva restituito a Rhona i suoi pochi averi, lasciandola in strada ad aspettare un taxi libero.
    Flash.
    Era peggio di come la ricordava, Los Angeles. I famigliari panorami squadrati nei grattacieli protesi al cielo scorrevano dal finestrino del suv che l'aveva pietosamente raccolta dal bordo della strada, si decoravano di qualche palma sradicata dall'habitat naturale in nome di una tradizione secolare di falsità e distorsione. Non si riconosceva più in quella tela di luci e rumori, Rhona, e forse era lei l'unica creatura incapace di adattarsi ad un habitat troppo distante dalle radici che l'avevano partorita.
    Flash.
    Parlava, il poveretto al volante in turno già da otto ore. Parlava tanto, parlava troppo, ignaro del fatto che ad ogni parola proferita corrispondeva l'eco di pensieri che assordavano l'abitacolo che guidava.
    «...Ha capito? Lavori in corso sulla Carroll Avenue da d-u-e sett...»
    «...Settimane, ho capito.» Lui ne era ignaro, Rhona avrebbe voluto esserlo. «E sua moglie Wendy è stufa di aspettarla per cena ogni sera, inizia a pensare che abbia un’amante.»
    Quello però lui non l'aveva detto.
    Flash.
    Scese il silenzio, finalmente. Un silenzio apparente, tangibile solo per il tassista più bianco in volto a seguito di quanto appena ascoltato, ma inutile per la mentalista che invece continuava ad essere schiaffeggiata dalle pulsioni dei suoi pensieri. Che fosse una tipa strana aveva avuto modo di appurarlo, quand'era salita sul suo taxi vestita come un'indigena equadoriana, ma che potesse conoscere dettagli tanto intimi della sua vita privata non l'aveva messo in conto, e adesso il tragitto fino alla più vicina metropolitana gli sembrava infinito.
    Non fu strano vederlo ripartire a tutta velocità non appena Rhona raggiunse il marciapiede, si sarebbe accorto di non averle chiesto neppure di saldare il conto solo una volta tornato a casa dalla povera Wendy, ma qualcosa lasciava intuire che non sarebbe tornato a cercarla per quel debito.
    Nella testa di Rhona, intanto, almeno i lampi baluginanti si assottigliarono, il mondo iniziò a recuperare una traiettoria più lineare, un ritmo gestibile, tutto sembrava destinato a migliorare.

    Come aveva potuto essere così stolta?
    Cinque anni nella natura più incontaminata non potevano davvero averle fatto dimenticare il chaos di una metropolitana, ma sicuramente l’avevano indotta a sottovalutarlo.
    Era in piedi sulla banchina da poco più di cinque minuti, quando il veicolo le sfrecciò davanti agli occhi spalancando le fauci piene di impiegati, studenti, vagabondi, e ladruncoli. Venne ingoiata dal primo vagone che le capitò davanti, e da lì fu il buio.
    Non si accorse di aver smesso di respirare finché le labbra non le si spalancarono in boccate asciutte di aria bruciante. La mente gridava, piena di voci che non le appartenevano, le tempie pulsavano al ritmo dei tamburi di guerra, ed ogni contorno iniziava a sfumare, sovrapponendo volti e contorni in un’unica tela rovinata da un secchio di vernice accidentalmente rovesciatovi sopra.
    Sarebbe morta lì, constatò con l’ultimo sprazzo di lucidità rimastole addosso, nel cuore di una metropolitana durante il primo tentativo di rientro a casa.
    Avevano un sapore diverso, gli attacchi di panico, per chi il panico non era più neanche in grado di provarlo.



     
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