God's will is your deepest desires

A.P.

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  1. La Monaca
     
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    Fran Bouchard | 32 y.o. | Virtue | scheda livello
    La città degli Angeli, la chiamavano. O così aveva sentito dire.
    A spingerla ad abitare le mura di quella fortezza non era stata certo la vocazione che la animava negli ultimi anni, al contrario ciò che di più controverso e agli antipodi potesse esistere: la tentazione.
    Le persone parlano - a volte anche troppo - pur senza sapere di cosa nutrire la propria curiosità. Che gli opposti si attraggono era un'altra di quelle assurde convinzioni di cui avrebbe fatto a meno, poiché nella sua mente, e ancor di più nel suo animo, gli opposti la dilaniavano. Aveva voluto trovare pace nella dimora di Dio, e, per quanto questo pensiero le desse conforto, avere a che fare con la parte più oscura di sé, nella casa di chi per lei contava più di se stessa, era motivo di vergogna.
    Il suo passato era tutt'altro che decoroso, e aveva l'impressione che il futuro lo sarebbe stato altrettanto. Era devota, com'era giusto che fosse, la sua fede in quel bene superiore di cui tutti amavano predicare era espressa da preghiere sentite e costanti, dalla partecipazione ai riti religiosi, dalla bontà che il suo volto esprimeva in qualsiasi circostanza. Era buona, cortese e gentile, virtù che rientravano e si adagiavano perfettamente nella coltre del ruolo che aveva scelto di occupare.
    Ma quello stesso volto esprimeva anche altro: le labbra carnose e rosse come i petali di una rosa nel freddo glaciale di un inverno destinato a farla perire; le iridi grigie, come quel ghiaccio che le impediva di lasciare che la fede scaldasse il suo cuore, come avrebbe invece desiderato; i capelli ramati che, senza volerlo, sfuggivano al velo decorandole di rosso il volto di porcellana. Tutto in lei urlava al vezzo e alla dissolutezza, una realtà con cui Fran aveva ormai deciso di convivere.
    Con passo zelante, si avvicinò all'abitacolo in cui l'unica persona che la conosceva davvero la stava aspettando.
    Era un appuntamento settimanale il loro, poiché se anche la razionalità era in grado di redimerla durante il giorno, i sogni al chiarore di luna erano impenetrabile e inarrestabili.
    Prese posto nel confessionale e affettò l'aria nel compiere il segno della croce, sussurrando parole di contrita redenzione.
    «Perdonatemi, Padre, perché ho peccato.»
    Nulla la rendeva meno figlia di sua madre di quanto non fosse. A niente serviva l'intervento divino di suo padre per tenerla sulla retta via.
    «L'ho sognato ancora.»
    Confessò sofferente, sul punto di versare lacrime volte a spegnere quell'incendio doloso che alimentava di passione il suo cuore.
    «E ancora... lo sogno sempre.»
    D'altro canto, se persino la Devozione era stata in grado di cedere alla Lussuria, che colpa ne aveva lei che condivideva i valori e i peccati di entrambi?
    «E' una fame dannata... che mi divora.»
    Sussurrò in preda al panico, le mani intrecciate davanti al volto, un dondolio lento e calibrato che le garantiva una calma tutt'altro che spirituale.
     
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    Angelici
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    Abel Cain Pearson | 364 anni | Angelo | scheda livello
    Mentre nella tua vita continuerà a soffiare il vento del cambiamento, tu inizierai a sentirti ristabilito dal Mio Santo Spirito poiché molte cose andranno a posto. La punta della stilografica produceva un’eco sommessa, ruvida, grattava le pagine del quadernino sorretto dalle ginocchia mentre due occhi diligenti ne seguivano le righe appuntate. Ora sei rivestito della Mia Gloria, e brilli di pace e gioia.
    Rimise il tappo, chiuse l’agenda, la infilò lentamente in una delle tasche nascoste della tunica, poi chiuse gli occhi e reclinò indietro il capo, inspirando l’odore di incenso e preghiera che sapeva sempre di casa.
    Sopportava bene le attese, Abel, la vita eterna gli aveva donato pazienza e perseveranza, oltre ad una dote innata di calma che lo rendeva spesso più simile all’arredamento della chiesa, che non ad un essere corporeo vivente in essa.
    Quando sentì movimento dalla parte penitenziale del confessionale tornò a sollevare la testa, ma tenne gli occhi chiusi perché la vista non serviva. Quello era un luogo d’ascolto, la più sacra cassaforte di ogni cattedrale, e lui di tesori nascosti se ne intendeva non poco. Pochi gesti sancirono il segno della croce, quando fu certo che dall’altra parte avveniva la stessa iniziazione, poi una voce, il profilo sfumato dalla grata in legno: sapeva bene chi parlava a Dio in quel momento, e non solo perché era giovedì, ma perché quella voce non poteva conoscere eguali né simili al mondo, e lui aveva imparato a conoscerla in ogni sua più intima incrinatura.
    «Nostro Signore è ben più disposto al perdono di quanto non lo siano le tue labbra.»
    Una voce che sembrava aver taciuto a lungo, quella che parlò, grave di solennità eppure ammorbidita da un’accondiscendenza che voleva alleviare il tortuoso tragitto all’espiazione. Fran Bouchard era tra le donne più devote che avesse mai incontrato in tutta la sua lunga esistenza, determinata e battagliera nel fronteggiare ogni giorno la macchia indelebile che portava nell’anima. Una genetica crudele, la sua, un fardello mai scelto, eppure un calvario che la monaca non rifuggiva mai. V’era affetto incondizionato nell’ascolto del reverendo, serio intento operativo, e forse qualcos’altro, smosso nei recessi più reconditi di chi si trascina una croce più simile di quanto auspicato.
    «Il sogno è veicolo prediletto del demonio, non possiamo nulla contro uno strumento tanto infido... sei stata debole, ma non ti sei smarrita.»
    Oscillava, Fran, nella voluttà dell’irrazionale e nella ferma intransigenza della veglia, era un’amazzone del purgatorio, con i piedi ben fermi in paradiso e la testa rapita dall’inferno.
    Un rumore snocciolante di legno le avrebbe suggerito l’impugnatura del rosario da parte del Padre, Abel se lo sarebbe avvolto intorno alle nocche come un letale tirapugni, quindi avrebbe volto la testa verso la grata, indovinando senza poterle vedere la posizione delle due ciocche rosse ai lati degli occhi grigi di lei.
    «Estirperemo ancora quel che invade la tua innocenza, insieme, conosci le regole.» Una pausa, un sospiro soffiato sulla sottilissima parete a dividerli. «Inizia pure quando te la senti.»
    Abel Pearson credeva fermamente che il modo migliore per domare il diavolo era guardarlo dritto negli occhi, innalzarsi più di lui e prevaricarlo. Una lotta animalesca, rudimentale per molti, discutibile per le comuni norme ecclesiastiche, ma chi discende dall’Altissimo conosce bene l’abisso del Male, chi mai potrebbe biasimare i suoi metodi assolutistici?
    «Padre Nostro, che sei nei Cieli...»
    La nenia avrebbe accompagnato in un sottofondo cantilenante tutte le confessioni che Abel pretendeva ogni qual volta un peccato andava smantellato, la Bouchard doveva ormai averlo imparato. Lei dava forma al peccato, raccontando, e lui ne diluiva l’oscenità con le sacre invocazioni.
    «...sia santificato il Tuo nome...»
    Capitava a volte, poi, che un Padre Nostro non bastasse, ma non era mai capitato che il Reverendo affrettasse i tempi...




     
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  3. La Monaca
     
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    Fran Bouchard | 32 y.o. | Virtue | scheda livello
    Una sola persona in quel mondo infausto poteva dirsi consapevole di ciò che alimentava cuore e anima della donna in procinto di confessare i suoi più luridi e imperdonabili peccati. Aveva avuto un'infanzia difficile, Fran Bouchard, eppure mai una volta aveva fatto capo a quell'infanzia dei peccati e degli errori commessi lungo il cammino della perdizione.
    Aveva fame, una fame intransigente che la obbligava a nutrirsi di ciò che avrebbe voluto estirpare dalla Terra. Nutrirsi da quelle stesse labbra che il reverendo chiamava per nome, come memento di quel che avrebbe voluto dire e fare, senza poter portare a compimento quel desiderio inespresso.
    «Le mie labbra...»
    Se le morse, strumento di perdizione che fungeva al contempo da scappatoia dall'Inferno. Quello stesso Inferno dove avrebbe potuto fare ciò che in vita non faceva altro che sognare.
    Provava a non ricordare, tentava di rimuovere l'onta di un passato che l'aveva condotta a Los Angeles e che ancora e ancora sporcava le sue notti innocenti.
    «Siete tenuto a dirlo, reverendo. Ma ci credete davvero?»
    Aveva sufficiente confidenza da poterglisi rivolgere con così tanta irriverenza, eppure non erano quelle le parole a cui avrebbe voluto dar voce, non era sul collo che la mano destra avrebbe dovuto sostare, lasciando che parte di quell'incarnato solitamente celato a occhi altrui si esponesse un attimo di troppo.
    Si risvegliò come da un torpore, trattenendo il fiato mentre quello del reverendo riecheggiava in quello spazio stipato e probabilmente dimenticato da Dio.
    «Chiedo perdono.»
    Intrecciò nuovamente le dita di entrambe le mani e cadde sulle ginocchia con delicatezza, lasciando che il respiro si infrangesse contro la grata.
    Le dita della mancina afferravano e strattonavano il rosario consumato dalle sue preghiere, puntuali come un orologio si impossessarono di quelle labbra e della voce strozzata che si insinuò tra esse.
    «Venga il Tuo regno, sia fatta la Tua volontà...»
    Le iridi di glaciale smeraldo sondarono i contorni della figura che avevano di fronte, resistendo alla tentazione di estirpare il divisorio che impediva loro di avere completo accesso alla bellezza dell'uomo che sostava imponente dall'altra parte.
    Le palpebre si abbassarono sugli occhi indiscreti, la presa della mano destra sul rosario si fece più insistente, quasi dolorosa, mentre la mancina si aggrappava con forza inaudita alla grata che marcava il netto contrasto fra lei e Abel.
    Reclinò il capo all'indietro una volta concluse le preghiere che, sapeva, non sarebbero bastate a redimerla. Un segno di resa il suo, dopo aver trascorso anni a chiedersi come fare per esorcizzare quel male dal proprio essere.
    «Per quanto tempo ancora credi di potermi giustificare?»
    Gli domandò abbandonando quelli che erano i loro ruoli.
    Non c'era modo di lasciarle condurre una vita pregna di devozione se il suo animo anelava esattamente ciò che non avrebbe dovuto né voluto avere.

     
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